La composizione di Gabriele Carloni
Nicandro
Caro nonno, ti scrivo per ringraziarti e per dirti ciò che sei e che sei stato per me.
Oggi hai ottantacinque anni e non sei più tu a dovermi accompagnare agli allenamenti di calcio, ormai vado in motorino. Ma ricordo benissimo quando mi ci portavi tu.
Ore 13.30: alla fermata dell’autobus tu c’eri, pronto a spalancarmi quel grande sorriso e quell’abbraccio che aspettavo da quando suonava la campanella di ingresso a scuola.
Scendevo dal pulmino, ed ero a casa!
<<Mangerai abbastanza? Sarà troppo, troppo poco? Eh, dobbiamo pensare agli allenamenti!>>.
A volte bastava un panino, quel panino con il salame o la lonza, una vera prelibatezza.
Subito dopo ti sedevi sul divano e ti sintonizzavi su un canale dove c’era continuamente un torneo di bocce, mentre io preparavo il mio borsone.
<<Posizionare la boccia il più possibile vicino al pallino, semplice no? Dai!!>>. Lui dietro un pallino, io dietro ad un pallone.
Via verso il campo con la tua Fiat A16, tutta grigia con le rifiniture nere, le ruote truccate da soldati mimetizzati nel terreno, la portiera del passeggero come lo sportello di un aereo e i sedili posteriori sempre carichi di attrezzature per l’orto. Non profumava di Arbre magique e il conta chilometri non si muoveva oltre i 60; non era certo una Ferrari, ma a me pareva così.
Quel viaggio era bellissimo: tu guidavi con calma e sicurezza, mentre mi raccontavi di quelle zone che attraversavamo. Lucrezia e la tua Calcinelli: ogni giorno qualcosa di nuovo, un pezzo di storia. Sembrava di costruirle insieme quelle case, quei quartieri, la piazza, la chiesa, il bar centrale, le poste, la scuola. E poi lunghe camminate a piedi tra cantieri in costruzione e campi da arare. Tu, fiero, sopra il tuo escavatore: mi sembrava di vederti.
Angoscia e sgomento quel giorno in cui il tuo racconto, come il tuo respiro, si fermarono di fronte a quella cava nella quale era sprofondata una valanga e si era portata via tutto. Mi sembrava di perderti allora, mentre gli attimi di paura venivano smorzati dall’aiuto di molte persone, che hanno soccorso anche te. Pensare alla fatica e al contributo che hai dato al nostro territorio mi inorgoglisce sempre.
Il breve viaggio finiva, come al solito, con te che ti accertavi dell’orario di lavoro della mamma, per essere sicuro che qualcuno si trovasse fuori dal campo, pronto a spalancare un sorriso. Io sapevo che quel sorriso sarebbe stato il tuo.
Scendevo e capivo che sarei stato ancora una volta il primo ad arrivare; a volte anticipavo anche l’arrivo del mister e mi sentivo fiero di portare tutto il necessario in campo: potevo iniziare a palleggiare e a fare tiri da solo finché non arrivavano i miei compagni e iniziavamo l'allenamento.
Se ci penso ora non posso fare altro che ringraziarti; i nostri viaggi sono diventati le nostre memorie condivise, sguardi aperti su campi aperti, anche di calcio e di bocce. D’altra parte, nonno, era chiaro che a te del calcio non importava proprio nulla, che non eri affatto un esperto e neanche ti interessava di esserlo. Eppure correre, gridare, sudare, esultare e sperare dietro un pallone sembrava non solo la mia passione, ma la nostra.
Sono passati un po' di anni ed io ho capito quanto sia importante per me questo sport, che mi rende felice, sereno, come quel tuo sorriso. E ho capito quanto è stato ed è ancora importante il tuo sostegno in questa mia passione. Adesso che sono infortunato e ho perso tanti allenamenti e tante partite, tu sei lì, a rassicurarmi e a sostenere la mia pazienza con tante cartoline future.
Sono passati un po' di anni ma c’è ancora quel panino con il salame o la lonza sul tavolo, pronto per me.
Manca poco ormai ai nostri compleanni, noi che siamo nati a gennaio e che abbiamo un sei come cifra delle unità e qualche anno di differenza.
Non vedo l’ora di cantare tanti auguri e di pronunciare, cantando, il tuo nome. So che mamma e babbo hanno pensato di darlo anche a me: posso dirti che sarei stato fiero, orgoglioso e grato di portarlo.
Nicandro.
CARLONI GABRIELE_Nicandro_2B CHIMICA